Documento dei docenti del Liceo Scientifico “A.Vallisneri”
(credo del 22 ottobre 2008, ma non c'è la data, probabilmente per scelta)
In queste settimane la scuola italiana è investita da una serie di provvedimenti governativi che confusamente colpiscono ora qua ora là, dalla scuola elementare all’università, senza alcuna logica riconoscibile se non quella di tagliare alla scuola pubblica più risorse possibile. Solo con questo intento si spiegano
- il ritorno al maestro unico, che significa distruzione d’un modello pedagogico che ha portato la scuola primaria italiana a livelli di eccellenza rispetto agli altri paesi europei;
- la riduzione del tempo scuola a tutti i livelli (nella elementare da 30 a 24 ore; nella media da 30 a 29 ore; nel superiore da un massimo di 36 ore a un massimo di 32 ore, ma solo 30 nei licei);
- l’aumento degli alunni per classe (che significherà smembramento delle classi ogni volta che si abbassi il numero degli studenti, minore spazio per un insegnamento che tenga conto delle difficoltà di ciascun ragazzo…) ;
- la chiusura delle piccole scuole di paese;
- la riduzione delle università a fondazioni private, che potranno recuperare i tagli dei finanziamenti statali o con un drastico aumento delle tasse o con la ricerca di finanziamenti privati (con corrispondente subordinazione della formazione e della ricerca a logiche aziendali);
- il taglio feroce dei ricercatori, con cui si nega ogni prospettiva a migliaia di giovani che, oggi e domani, vorrebbero dedicarsi alla scienza e alla ricerca (si rammenti che l’Italia è già oggi, tra i paesi avanzati, quello con la minore percentuale di ricercatori).
Si dice, da parte governativa, che in questo modo si tagliano gli sprechi. Ma quali sarebbero gli sprechi colpiti con questi provvedimenti? Essi, in realtà, non fanno che ferire la scuola nella carne viva, compromettendo cinicamente la sua stessa responsabilità sociale.
Del resto non va nello stesso senso la proposta di classi separate per gli alunni stranieri, che sottrae alla scuola una funzione di integrazione che è decisiva per il livello stesso di civiltà del paese?
In realtà, la scuola italiana avrebbe bisogno di un vero intervento di riforma. Un intervento che prenda sul serio gli stessi indicatori internazionali di cui invece i nostri ministri si servono soltanto come arma propagandistica per diffamare scuola ed insegnanti.
Da tutte le rilevazioni sulla qualità dei sistemi educativi, in effetti, emergono sia elementi di forza della scuola italiana, che andrebbero estesi e valorizzati, sia punti di debolezza su cui occorrerebbe intervenire per porre rimedio. Questi i dati più interessanti:
- la presenza in Italia d’un modello scolastico – quello della scuola elementare – che garantisce competenze di alto livello ed è capace di attenuare svantaggi familiari, sociali, culturali;
- la presenza, nel sistema dei licei pubblici, di standard formativi pari a quelli più avanzati degli altri paesi europei;
- il fatto che la scuola privata, mentre negli altri paesi contribuisce a elevare i rendimenti medi degli studenti, nella situazione italiana li abbassa pesantemente;
- la coincidenza delle zone di scadimento del sistema scolastico con quelle in cui più drammatico è il degrado civile, economico, sociale;
- la conferma più generale che dovunque non si investa in innovazione e ricerca, dovunque non si individui nella conoscenza un fattore centrale di sviluppo, la qualità della scuola tende a degradare (come del resto tutto il tessuto sociale, in primo luogo i mezzi di comunicazione e la classe dirigente).
Di fronte a questo quadro così complesso, ricco di problemi ma anche di potenzialità, la scelta del taglio delle risorse come unica strategia per l’istruzione porta a provvedimenti che sono l’opposto di quelli che servirebbero, se davvero si volesse riqualificare la nostra scuola. Così
- invece di partire dagli ottimi risultati della scuola elementare si distrugge il modello che l’ha resa vincente;
- invece di riqualificare con riforme anche radicali (nei programmi, nella struttura…) i settori di grave e gravissima sofferenza (si pensi all’istruzione professionale) si diminuisce il tempo-scuola per tutti;
- invece di affrontare il “pericolo civile” costituito dai diplomifici privati e sostenere la scelta degli studenti verso la scuola pubblica, si indebolisce quest’ultima, facendola oggetto esclusivo d’ogni genere di tagli;
- invece di progettare un riscatto della scuola meridionale all’interno d’un intervento vasto, lungo, ambizioso di risanamento sociale ed economico, contro il malaffare, la malapolitica, la malaeconomia, si preferisce un attacco grottesco agli insegnanti meridionali.
Del resto l’attacco agli insegnanti come categoria sembra il vero cemento unificante di tutte le parole dette, attorno alla scuola, dai vari ministri che se ne occupano: Tremonti, Brunetta e, in coda, Gelmini. Non si era mai visto un Ministro dell’Istruzione che, anziché proporre al corpo docente obiettivi di riqualificazione del lavoro, di ulteriore responsabilizzazione, li demonizzasse come una categoria irresponsabile e parassitaria. In realtà l’offerta al disprezzo pubblico del lavoro dei docenti si spiega in due modi:
da una parte si vuol mettere a tacere una categoria che, per sua natura, per “professione”, non può essere ridotta a megafono di regime;
dall’altra parte si vuol preparare un capro espiatorio su cui scaricare la responsabilità d’un attacco alla scuola che la renderà sempre più incapace di rispondere ai bisogni della società.
Di fronte a questa campagna denigratoria noi continueremo a fare con impegno il nostro lavoro, ad assumerci pienamente la difficilissima responsabilità di formare i giovani, pur sapendo che il nostro lavoro sarà reso ancora più difficile dagli attacchi strumentali di politici, giornali, televisioni, direttamente ispirati dal ministero, che mirano ad incrinarne l’indispensabile autorevolezza e credibilità.
Nel frattempo daremo il nostro contributo a tutti coloro che si muovono e si muoveranno democraticamente contro il progetto governativo di distruzione della scuola, allargando il più possibile il confronto tra i colleghi e con gli studenti, i genitori, i cittadini.